CHISCIOTTE

Il Lavoro Mobilita l’Uomo

testo e regia di Daniele Lamuraglia
con Tommaso Geri, Ettore Bargellini, Ersan Bejzaku, Felix Agbò, Caterina Fusi, Rosaclelia Ganzerli, Scilla Bellucci
musiche originali Alessandro Lamuraglia
scene e costumi Ludovica Del Carlo

Don Chisciotte ha perso il “Don”, perché le campane non si sentono più, travolte dai frastuoni del quotidiano, e perché il suo status non può più essere la Nobiltà (e le donne, i cavalier, l’armi, gli amori). Egli deve necessariamente trovare lavoro per sopravvivere, anzi, per supervivere, come viene richiesto oggi. E in questo caso – e di questi tempi – l’ideale è divenuto la Mobilità.

Il nostro eroe – Guglielmo – fresco laureato in filosofia, vive la più allucinante giornata della sua vita. Svegliato al mattino dalla segreteria telefonica, dalla quale i suoi genitori lo richiamano ai doveri della realtà, cerca di alzarsi per andare a conquistarsi il suo posto di lavoro. Ma non ce la fa, e ricade in un sonno profondo, popolato da figure fantastiche e straordinarie, ognuna a rappresentare un rapporto immaginario ma essenziale con l’attuale mondo del lavoro: Aristide il Barista, che lo sommerge con i suoi coloriti ed acrobatici luoghi comuni; il Capitano Matamoros, ex Soldato Fanfarone, ex leggendario sparaballe della Commedia dell’Arte, che adattatosi splendidamente (e criminalmente?) ai tempi, gli indica la nuova grande avventura del Lavoro e il suo ideale supremo della Mobilità, fondando tutto sulla moderna Fede; e poi Teresa Segretaria d’Avila, perfetta impiegata d’azienda che vive le sue impressionanti visioni e rapimenti con le identiche parole della mistica spagnola del 1600, solo che l’oggetto della sua devozione non è Dio o l’Infinito, ma il Capufficio; quindi compaiono in coppia Piccì, impiegato di colore sempre attaccato al suo computer col quale vende e compra azioni dal destino meno prevedibile della lotteria, e Falce, contadino appoggiato alla sua falce che adegua il suo ritmo a quello della natura, provocando il cortocircuito del moderno tempo di lavoro; e ancora la Triste Dulcinea, amore impossibile per mancanza di tempo, contro la mancanza d’intelligenza dei nostri tempi, dichiarazione d’amore smisurata e malinconica per un teatro che vorrebbe esistere senza ipocrite “amicizie”, ma solo presentarsi con la poetica potenza di un rigoroso, fresco e rinnovato legame tra l’antico e l’oggi.

Il mondo della concretezza – del Lavoro assoluto – inciso fino alle sue logiche più estreme, evapora nella dimensione del sogno, laddove l’inconscio parla più chiaro e vede meglio della vista, separa le oppressioni del momento dalle impressioni dei secoli, mette in scena la lunga durata del corpo, deposito psico-fisico di stratificate sapienze, unica àncora di salvezza contro le assurde razionalità della società del benessere obbligatorio.

Se tutto il mondo fu sogno fino a qualche secolo o decennio fa, se tutti gli Assoluti che si sono succeduti nella Storia furono dissolti dall’intelligenza e la creatività di qualche ingegnosa ed acuta mente (che magari oggi viene ammirata ed esposta in molteplici mostre d’arte) perché non dovremmo pensare che il nostro Assoluto d’oggi non possa essere svelato nella sua nudità? Perché non dovremmo riaprire il cassetto dell’intelligenza e della creatività? Perché dovremmo solo inginocchiarci in massa nella direzione del Dio Profitto? Ogni dio ha le sue debolezze: non è peccato approfittarne… e se lo è, pagheremo il biglietto…

LA LOGICA DI CHISCIOTTE

Chisciotte è così nascostamente strutturato, che può anche essere il campo d’esercizi per rigorosi fantasisti della Logica (come lo furono Aristotele, Tommaso d’Aquino, Borges, Queneau).

Per esempio, può venir reinterpretato come l’affermazione spiegata ed esposta artisticamente dei Cinque Errori del Capitalismo Moderno (scoprire gli esatti errori si dice che sia il primo passo per eliminarli).

In Chisciotte vi sono Cinque Apparizioni, ognuna della quali rappresenta l’affermazione di un Errore.

La Prima apparizione (Aristide il Barista) è sulla ridefinizione del Soggetto politico:
La figura universalmente depositaria di diritti e doveri non è più il Cittadino, ma il Cliente. Tuttavia esso subisce un nuovo tipo di relazioni col Potere: non si cerca più di accontentare il Cliente (come insegnavano alle generazioni precedenti alle nostre), ma di convincerlo a gioire di ciò che avrà o farà. Se un tempo la Politica prometteva e costruiva la Felicità per i suoi Cittadini, ai Clienti oggi viene imposta la Felicità.

La Seconda apparizione (Matamoros) è sulle applicazioni del Potere:

L’attuale capitalismo è come una religione, e pertanto non vuole dubbi e critiche, ma l’adesione totale attraverso la Fede; la disponibilità a non avere punti di riferimento fuori dell’Assoluto del Lavoro (con la Mobilità); e l’Immaginazione, strumentalizzata al fine di costruire false illusioni.

La Terza apparizione (Segretaria Teresa d’Avila) è sul rapporto col Superiore:

La sostituzione di Dio o l’Infinito con la figura del moderno “superiore” che è il Capufficio, è funzionale in apparenza, ma provoca grandi angosce e disturbi psichici e fisici, che restano perlopiù celati.

La Quarta apparizione (Falce e Piccì) è sulla disumanizzazione del Tempo:

il Tempo attuale di Lavoro è Innaturale, e quindi distruttivo fin dalle sue radici naturali.

La Quinta apparizione (Dulcinea) è sul nodo centrale e sul Rimedio:

Il mondo attuale del Lavoro ha provocato – ed è anzi basato – sulla distruzione dei fondamenti della Cultura e dell’Arte, le quali sono l’unica salvezza per uscire da questo stato disumano del mondo.

Chisciotte e le illusioni dell’ideale capitalistico

Ad un certo punto della nostra storia, nell’anno 1776, un signore scozzese di nome Adam Smith disse che il Bene pubblico poteva essere solo il risultato della somma degli egoismi individuali. Molti gli credettero, e nonostante la continua opposizione di coloro che invece mettevano il Bene pubblico prima dell’egoismo individuale (i quali ebbero momenti di gloria nel Risorgimento e nella Resistenza), la tesi dello scozzese oggi non solo è largamente predominante, ma è divenuta assoluta ed indiscutibile al pari di una antica Fede.

Senza neppure mettere in dubbio se il Bene pubblico sia sinonimo di ricchezza economica (come predicò il Profeta Smith), la nostra società di devoti fedeli all’Egoismo, ha solo spostato il soggetto motore, identificandolo non più nell’individuo, ma nella più efficace azienda, per cui il comandamento divino si è leggermente modificato: la somma degli egoismi delle aziende produce il Bene pubblico. Tutto il resto viene dopo, ed è conseguente, è “ovvio”.

È ovvio che un’azienda non può guadagnare ogni anno nella stessa quantità, ma deve invece ogni anno aumentare il suo profitto. È ovvio che non vengano più prodotti dalle aziende dei beni che sono utili e necessari, ma devono invece venir prodotte quelle necessità (prima inesistenti) che costringono ad acquistare i beni. È ovvio che l’egoismo di un’azienda deve lavorare per la distruzione dell’azienda concorrente. È ovvio che questa religione venga imposta a tutti i paesi del mondo. È ovvia la guerra, i milioni di morti per fame, la distruzione ambientale del pianeta, ecc.. Ma la somma del Bene pubblico è positiva.

Chi ha una certa età (che sembra piuttosto un’era geologica) si ricorda ancora bene l’epoca dove tutti strillavano entusiasti sulla “fine delle ideologie”. L’ideologia era un’idea complessiva del mondo: oggi abbiamo una religione universale, al cui confronto impallidisce il cattolicesimo medievale. Se il Bene pubblico, grazie ad un iniziale atto di Fede è identificato col Profitto, dal punto di vista dell’”essere umano” l’Ideale, ovvero la sua massima aspirazione, è il Lavoro, il quale per corrispondere alla sua Religione universale si deve caratterizzare per tre principi.
Il principio di sostituibilità: il lavoratore da soggetto diviene oggetto, e può essere sempre scambiato con un altro lavoratore, come merce con altra merce.

Il principio di necessità della disoccupazione: una quota sostanziale di oggetti “senza-lavoro” che serve da orizzonte pratico e psicologico per l’oggetto lavoratore.

Il principio di competitività: o ci si organizza praticamente e idealmente come le altre aziende, oppure si chiude. Esiste cioè, secondo questo Ideale, un unico modello di produzione (è per giunta una religione monoteista).

La nuova Religione ha stabilito un semplice parallelo con l’antica: se prima si diceva “educare al Bene comune produrrà un maggiore Bene comune”, quella nuova dice “educare all’egoismo produce più Bene comune”. È così che anche le famiglie sono divenute delle piccole aziende, dove la Fede incita ad avere di più dell’anno precedente (in un’altra era geologica qualcuno lo chiamava “consumismo”, e lo criticava pure! forse eretici…). Anche l’arte, la cultura, lo spettacolo, seguono questa religione: tutti diventati piccole aziende, che inseguono o propongono nuovi gusti preconfezionati.
Nel nostro spettacolo – CHISCIOTTE, il Lavoro mobilita l’uomo – un moderno cavaliere, con molte macchie e molta paura, s’avventura alla ricerca del suo possibile Ideale, che non è più la Donna, ma il Lavoro (è passato infatti Adam Smith…). Si lascia prendere dai sogni suoi e degli altri, dalle illusioni di quest’epoca, prova a credere a tutto ciò che viene detto e fatto oggi, per raggiungere il nuovo ideale. Solo che sul letto di morte, a differenza del suo storico predecessore, deciderà di alzarsi, e proporre una antica e moderna critica alla religione imperante.