Teatro del Legame

presenta

L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI
dal racconto di Jean Giono

adattamento e regia di Daniele Lamuraglia

L'uomo che piantava gli alberi

 

Presentazione:

Il libro

La trama di questo breve racconto dello scrittore francese Jean Giono si può riassumere tutta nel titolo: c’era un uomo che piantava alberi. Questa frase, che potrebbe essere l’inizio di una favola, in realtà esaurisce tutto il campo dell’azione del protagonista. Lo sviluppo del racconto e dunque il tempo narrativo, è utilizzato per moltiplicare ed amplificare questo piccolo e semplice gesto del piantare un albero. Ed è immediato e sufficiente richiamare il verbo che gli fa da sinonimo per aprirsi ad una vasta gamma di suggestioni: seminare.

Raggiungiamo così il nocciolo di questo testo: esso è “il racconto del seminatore”, e proprio per dare maggior luminosità a questa figura esemplare, l’autore lo riproduce e rispecchia nella forma stessa della scrittura, che deve semplicemente descrivere quell’unico gesto di deporre la potenzialità di ogni eventuale ed auspicabile trama futura, rappresentare solo il deposito di ogni ulteriore significato. Natura e linguaggio ritrovano un loro analogo riflesso di purezza nell’atto originario della semina.

La parola “scrivere” viene da scavare, incidere. È il medesimo gesto che il protagonista compie con la sua asta di ferro: incide la terra e vi pone il seme, così come lo scrittore nella carta vi pone quel segno che produrrà i futuri significati. È Platone che nel Fedro racconta dell’analogia fra la scrittura e il seminare del contadino.

Il gesto del seminatore, come il gesto di questa scrittura, è quello di rappresentare non una vicenda nei suoi successivi passaggi, ma unicamente il simboleggiare la possibilità nascosta – nella terra come nella lingua – di ogni possibile evento futuro. Non racconta perciò una storia, ma depone il senso di ogni possibile storia a venire.

Il seme di ogni albero è come il seme di ogni storia: è dall’opera di un seminatore che non si aspetta nulla in cambio che dipende il futuro della Natura e dell’Umanità, così come del nostro presente dobbiamo esser grati a qualche generoso seminatore del passato.

Un dono, senza attesa dello scambio, produce la vita.

Lo spettacolo teatrale

Anche il teatro come forma d’arte e comunicazione riflette questo gesto del seminare. Il palcoscenico sarà anche come il fondo di una terra nel quale è deposto quel seme che è il personaggio del contadino, ma nello stesso tempo anche lo scrittore che lo racconta. Contadino, scrittore ed ora attore, tre facce per tre metafore del seme, e tre azioni che si richiamano le une alle altre: seminare, scrivere, recitare. Recitare significa dare vita ad un senso nascosto, all’interno di un testo, oppure di un evento.

Nel buio iniziale della scena il personaggio racconterà la storia, e la costellerà dei molteplici legami che vi sono fra il seminatore, il seme, ed i frutti che ne sbocciano. Una riflessione sul senso del donarsi senza pensare ad un corrispettivo utile a garantire qualche vantaggio o comodità. Un’idea del tempo che supera il tempo dei desideri e dei bisogni del singolo individuo, per tornare a confluire in quell’infinito che ci ha generati.

Dal buio alla luce, lentamente e gradualmente, in sintonia con quel tempo che non si può accelerare con processi artificiali, meccanici o informatici che siano. Il tempo della Natura c’era prima e resterà anche dopo che l’umanità avrà sciorinato tutta la serie delle sue formidabili ma anche disastrose invenzioni.

Ed infine la luce: dopo quella del gesto originario del contadino, la seconda apertura del solco, questa volta data dalla stessa energia del seme, che aprendosi ha spinto in alto per aprirsi la via alla luce del sole, al soffio dell’aria, all’acqua della pioggia.

Nasce una nuova pianta, una nuova parola, una nuova vita, sconosciuta ed inaspettata anche al suo stesso creatore, che se in quel momento non avrà occhi per guardarla, avrà comunque lasciato agli altri – anche ai nostri spettatori – il segno memorabile di un gesto che supera le epoche, e sfiora il senso dell’eternità.